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mercoledì 5 settembre 2012

Sogni al Semaforo


La scorsa mattina (giovedì 30 agosto, NdA), dovendo andare verso Orvieto, ho deciso di prendere la strada che da Spoleto porta ad Acquasparta per godermi un po' il panorama e anche per vedere a che punto fossero i lavori di  riapertura della strada a seguito dell'incendio che ha colpito quelle zone non più tardi di un mese fa. Non appena superata Firenzuola, mi sono dovuto fermare a un semaforo mobile sistemato dagli uomini dell'Anas che stavano sostituendo i guard rail, pur essendo, questi, in ottimo stato. Pensando, con stupore e perplessità alla cosa, presentivo già che dall'altro lato del monte nulla era ancora cambiato e che si viaggiava ancora a una sola corsia con un semaforo a fare da metronomo. Sensazione confermata pochi chilometri dopo.

Impossibile non pensare a come, anche in casi di estrema necessità, certe regole fittizie, non collegate
con il mondo reale, influiscano su tutti noi: il punto in cui stavano sistemando i guard rail è nella provincia di Perugia; il tratto a senso unico alternato, a causa dei danni provocati dall’incendio, nella provincia di Terni. Risultato: chi, come me, si fosse trovato ad  attraversare quella zona, si sarebbe dovuto fermare due volte, una prima per lavori in corso apparentemente inutili (dalla foto scattata si vede benissimo come il vecchio guard rail sia in perfette condizioni e molto migliore rispetto a tanti altri che se ne vedono in giro), una  seconda per la mancata partenza dei lavori, questi sì indispensabili, per il ripristino della viabilità.

Le curve scivolano, i km passano e i pensieri fluiscono. Casa accadrebbe  se, mentre stessimo costruendo un portico monumentale e puramente decorativo a casa nostra, al vicino gli crollasse  la casa? I più farebbero un paio di considerazioni e donerebbero risolutamente almeno qualche sacco di cemento al malcapitato, se non per mero spirito di solidarietà  quantomeno per toglierci dalla vista, più rapidamente possibile,uno sgradevole panorama  di macerie.
Resta il fatto che  le regole sono regole e se i fondi sono stati stanziati per una cosa non c'è modo che possano essere impiegati in un'altra, neanche in casi di emergenza. È anche logico,  chiaramente quei soldi possono essere spesi soltanto per la finalità per cui sono stati devoluti. Tra i due vicini di casa non c'è unità d'intenti e neanche solidarietà, sono le regole che lo impongono.
Nel frattempo però un tragitto di 20 minuti diventa di 40 e delle mie regole, che vogliono che io sia puntuale agli appuntamenti nessuno si interessa.
Ma quanto sarebbe importante riuscire finalmente a collegare Spoleto con la E45 e con il distretto industriale che la lambisce da Terni a Perugia?
Anche questo argomento ormai è in disuso, ogni anno i fondi stanziati per tale opera sono nulli e anche questo sogno rimane fermo al palo, al semaforo se volete.
Il sogno di una Spoleto crocevia di scambi commerciali nonché culturali, non è mio, almeno non soltanto. È invece di un ex giovane, anzi di un uomo che ha saputo rimanere giovane pur invecchiando e che, tenetevi forte, quasi 100 anni fa fondò il Comitato Umbro Marchigiano atto a promuovere il collegamento tra i due mari, l'Adriatico e il Tirreno, al fine di conquistare un maggior sviluppo organizzando la società e i territori che la ospitano. Il sindaco Arcangeli, di cui si parla sempre poco, è stato uno di quelli che ha cambiato le cose, un innovatore. A lui dobbiamo quasi tutto ciò che è la nostra città oggi: collegamenti con la Valnerina, sistema idrico cittadino, sfruttamento dei fiumi per la produzione di energia elettrica, la strategica (ai tempi) ferrovia Spoleto-Norcia, più tutto ciò che
per motivi di spazio e tempo non posso citare ora.
Pur vedendo, con estrema lungimiranza, quanto un collegamento terrestre potesse incentivare le economie dell'intero centro Italia, pur lottando perché questo collegamento potesse passare per Spoleto, rendendola un vero Hub (...diremmo oggi...) per gli scambi tra l'est e l'ovest e, conseguentemente, tra il nord e il sud, Arcangeli non è riuscito a veder realizzato questo suo sogno, e in cento anni nessuno ancora lo ha fatto: questo sogno è rimasto fermo al semaforo da quando ancora i semafori non esistevano.
Consiglio un bellissimo lavoro sul sindaco Arcangeli di Daniela Crispoldi dal titolo, che già di per sé inorgoglisce, “Il Dovere della Modernità”, ringrazio ancora chi me lo ha regalato e fatto scoprire. Tutti dovremmo sentire il dovere della modernità, che non si traduce nell'avere l'ultimo smartphone, quanto nel percepire  quando le cose stanno per cambiare, perché le cose cambiano, tutti i giorni, siamo noi che facciamo degli sforzi  affinché tutto resti uguale, familiare, senza sorprese.
Faccio parte di una generazione che sta vedendo il mondo rovinare in peggio. Non viviamo boom economici, ma crisi dovute ad un'economia drogata dalla finanza; la tecnologia è un fantastico mezzo che usiamo male; non viviamo nell'epoca dei grandi statisti e politici, ma in quella dei gestori inetti di crisi vecchie di decenni. Sono solo tre delle ulcere di un'Italia marcia che si riflettono ingigantite, come un'ombra cinese su di un muro, nella realtà spoletina.
Non sento di vivere in un luogo pensato per chi ha un futuro davanti a sé, lo si vede dall'inerzia della gente: a volte sento giovani ragionare come dei vecchi mentre i vecchi sono al bar (quando va bene) a fare i giovani. Non si possono lasciare al semaforo i sogni, quindi chi è fuori da questi schemi se ne va, sono in tanti e nessuno capisce che per ogni ragazza o ragazzo che fa la valigia è maturato un fallimento di cui siamo tutti responsabili. Il nostro modello di società ha fallito e quindi vale la pena cambiarlo. C'è chi ci prova, chi si mette in gioco, ma spesso non viene capito. Forse sarebbe stato più giusto scrivere “sostenuto”, ma chi non ti capisce, che sostegno potrà mai darti? Abbiamo delle tare, delle maledettissime tare:  sono il paragone e la semplificazione. Il vedere un tessuto in disgregazione può non esser considerata cosa grave se la si paragona con chi sta peggio; dire che "c'è crisi" e tutto va male è la semplificazione di chi ha poco spirito – e coraggio – per proporre qualcosa di nuovo. Paragone e semplificazione sono il fazzoletto che usiamo come paracadute mentre precipitiamo dal palazzo e ci ripetiamo che "fin qui, tutto bene!" (Mathieu Kassovitz, “La Heine”, 1995). 


Paragone e semplificazione vincono sempre, non puoi argomentare con chi semplifica, non puoi spiegare un sogno se non hai un paragone da offrire.
Quindi siamo qui, fermi al semaforo che non diventa mai verde in una città che dorme senza più sognare, i sogni che ha fatto preferisce non ricordarli perché sono stati fatti da chi come paragone aveva l’eccellenza; restiamo bloccati e immobili per pigrizia, indolenza e semplicità,  quasi preferissimo ispirarci ad altri  modelli, meglio se mediocri, così a fine giornata potremmo anche e più facilmente sentirci soddisfatti.
Luca Paolucci

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