La
scorsa mattina (giovedì 30 agosto, NdA), dovendo andare verso Orvieto,
ho deciso di prendere la strada che da Spoleto porta ad Acquasparta per godermi
un po' il panorama e anche per vedere a che punto fossero i lavori di riapertura della strada a seguito
dell'incendio che ha colpito quelle zone non più tardi di un mese fa. Non
appena superata Firenzuola, mi sono dovuto fermare a un semaforo mobile
sistemato dagli uomini dell'Anas che stavano sostituendo i guard rail, pur
essendo, questi, in ottimo stato. Pensando, con stupore e perplessità alla
cosa, presentivo già che dall'altro lato del monte nulla era ancora cambiato e
che si viaggiava ancora a una sola corsia con un semaforo a fare da metronomo.
Sensazione confermata pochi chilometri dopo.
Impossibile non pensare a come, anche in casi di estrema necessità, certe regole fittizie, non collegate
con
il mondo reale, influiscano su tutti noi: il punto in cui stavano sistemando i
guard rail è nella provincia di Perugia; il tratto a senso unico alternato, a causa
dei danni provocati dall’incendio, nella provincia di Terni. Risultato: chi,
come me, si fosse trovato ad attraversare quella zona, si sarebbe dovuto fermare
due volte, una prima per lavori in corso apparentemente inutili (dalla foto
scattata si vede benissimo come il vecchio guard rail sia in perfette condizioni
e molto migliore rispetto a tanti altri che se ne vedono in giro), una seconda per la mancata partenza dei lavori,
questi sì indispensabili, per il ripristino della viabilità.
Le
curve scivolano, i km passano e i pensieri fluiscono. Casa accadrebbe se, mentre stessimo costruendo un portico monumentale
e puramente decorativo a casa nostra, al vicino gli crollasse la casa? I più farebbero un paio di
considerazioni e donerebbero risolutamente almeno qualche sacco di cemento al malcapitato,
se non per mero spirito di solidarietà quantomeno per toglierci dalla vista, più
rapidamente possibile,uno sgradevole panorama di macerie.
Resta
il fatto che le regole sono regole e se
i fondi sono stati stanziati per una cosa non c'è modo che possano essere
impiegati in un'altra, neanche in casi di emergenza. È anche logico, chiaramente quei soldi possono essere spesi soltanto
per la finalità per cui sono stati devoluti. Tra i due vicini di casa non c'è
unità d'intenti e neanche solidarietà, sono le regole che lo impongono.
Nel frattempo però un tragitto di 20 minuti diventa di 40 e delle mie regole, che vogliono che io sia puntuale agli appuntamenti nessuno si interessa.
Nel frattempo però un tragitto di 20 minuti diventa di 40 e delle mie regole, che vogliono che io sia puntuale agli appuntamenti nessuno si interessa.
Ma
quanto sarebbe importante riuscire finalmente a collegare Spoleto con la E45 e
con il distretto industriale che la lambisce da Terni a Perugia?
Anche
questo argomento ormai è in disuso, ogni anno i fondi stanziati per tale opera
sono nulli e anche questo sogno rimane fermo al palo, al semaforo se volete.
Il
sogno di una Spoleto crocevia di scambi commerciali nonché culturali, non è
mio, almeno non soltanto. È invece di un ex giovane, anzi di un uomo che ha
saputo rimanere giovane pur invecchiando e che, tenetevi forte, quasi 100 anni
fa fondò il Comitato Umbro Marchigiano atto a promuovere il collegamento tra i
due mari, l'Adriatico e il Tirreno, al fine di conquistare un maggior sviluppo organizzando
la società e i territori che la ospitano. Il sindaco Arcangeli, di cui si parla
sempre poco, è stato uno di quelli che ha cambiato le cose, un innovatore. A
lui dobbiamo quasi tutto ciò che è la nostra città oggi: collegamenti con la Valnerina,
sistema idrico cittadino, sfruttamento dei fiumi per la produzione di energia elettrica,
la strategica (ai tempi) ferrovia Spoleto-Norcia, più tutto ciò che
per
motivi di spazio e tempo non posso citare ora.
Pur
vedendo, con estrema lungimiranza, quanto un collegamento terrestre potesse incentivare
le economie dell'intero centro Italia, pur lottando perché questo collegamento potesse
passare per Spoleto, rendendola un vero Hub (...diremmo oggi...) per gli scambi
tra l'est e l'ovest e, conseguentemente, tra il nord e il sud, Arcangeli non è
riuscito a veder realizzato questo suo sogno, e in cento anni nessuno ancora lo
ha fatto: questo sogno è rimasto fermo al semaforo da quando ancora i semafori
non esistevano.
Consiglio
un bellissimo lavoro sul sindaco Arcangeli di Daniela Crispoldi dal titolo, che
già di per sé inorgoglisce, “Il Dovere della Modernità”, ringrazio ancora chi
me lo ha regalato e fatto scoprire. Tutti dovremmo sentire il dovere della modernità,
che non si traduce nell'avere l'ultimo smartphone, quanto nel percepire quando le cose stanno per cambiare, perché le
cose cambiano, tutti i giorni, siamo noi che facciamo degli sforzi affinché tutto resti uguale, familiare, senza
sorprese.
Faccio
parte di una generazione che sta vedendo il mondo rovinare in peggio. Non viviamo
boom economici, ma crisi dovute ad un'economia drogata dalla finanza; la tecnologia
è un fantastico mezzo che usiamo male; non viviamo nell'epoca dei grandi statisti
e politici, ma in quella dei gestori inetti di crisi vecchie di decenni. Sono
solo tre delle ulcere di un'Italia marcia che si riflettono ingigantite, come
un'ombra cinese su di un muro, nella realtà spoletina.
Non
sento di vivere in un luogo pensato per chi ha un futuro davanti a sé, lo si
vede dall'inerzia della gente: a volte sento giovani ragionare come dei
vecchi mentre i vecchi sono al bar (quando va bene) a fare i giovani. Non
si possono lasciare al semaforo i sogni, quindi chi è fuori da questi schemi se
ne va, sono in tanti e nessuno capisce che per ogni ragazza o ragazzo che fa la
valigia è maturato un fallimento di cui siamo tutti responsabili. Il nostro modello
di società ha fallito e quindi vale la pena cambiarlo. C'è chi ci prova, chi si
mette in gioco, ma spesso non viene capito. Forse sarebbe stato più giusto
scrivere “sostenuto”, ma chi non ti capisce, che sostegno potrà mai darti?
Abbiamo delle tare, delle maledettissime tare: sono il paragone e la semplificazione. Il
vedere un tessuto in disgregazione può non esser considerata cosa grave se la
si paragona con chi sta peggio; dire che "c'è crisi" e tutto va male è la semplificazione di chi ha
poco spirito – e coraggio – per proporre qualcosa di nuovo. Paragone e
semplificazione sono il fazzoletto che usiamo come paracadute mentre precipitiamo
dal palazzo e ci ripetiamo che "fin qui, tutto bene!" (Mathieu Kassovitz,
“La Heine”, 1995).
Paragone e semplificazione vincono sempre, non puoi argomentare con chi semplifica, non puoi spiegare un sogno se non hai un paragone da offrire.
Quindi
siamo qui, fermi al semaforo che non diventa mai verde in una città che dorme
senza più sognare, i sogni che ha fatto preferisce non ricordarli perché sono
stati fatti da chi come paragone aveva l’eccellenza; restiamo bloccati e
immobili per pigrizia, indolenza e semplicità, quasi preferissimo ispirarci ad altri modelli, meglio se mediocri, così a fine
giornata potremmo anche e più facilmente sentirci soddisfatti.
Luca
Paolucci
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